Maurizio Melis

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Nuove geografie del lavoro (e del valore)

Come quando un terremoto apre una nuova faglia, la rivoluzione digitale, ha agito fin dall’esordio aprendo spaccature nel campo del lavoro, con due effetti: la fine di quelli che, trovandosi esattamente sulla crepa, ci cadono dentro; e una nuova geografia del terreno, ora diviso in due, dove il valore aggiunto e l'incremento di produttività generati dall'ennesima innovazione informatica ricadono su uno solo dei due campi.

La prima ondata di tecnologie informatiche, per esempio, non cancellò né gli operai né i progettisti o i manager, ma i colletti bianchi (contabili e archivisti con specializzazione media, stipendio medio e appartenenti alla classe media) lasciando sul campo data-entry da una parte e consulenti informatici dall'altra.
Industria 4.0, smart buildings, intelligenza artificiale, internet of things, BIM, realtà aumentata rappresentano altrettante nuove faglie dove è fondamentale trovarsi non solo sulla crepa, ma anche dalla parte giusta del terreno.
Spesso, però, i problemi vengono mistificati (il robot che ci ruba il lavoro), distorti (l'innovazione distrugge i lavori meno specializzati) e i rischi reali (disintermediazione da parte di outsider) sottovalutati.
Ciò che invece ci attende è una profonda riorganizzazione del lavoro, la ridefinizione di numerose figure professionali e un maggiore scambio di informazioni all’interno e tra le diverse filiere industriali, con un forte accento sulla progettazione digitale, sulla prefabbricazione, sulla manutenzione preventiva che sostituisce quella “reattiva”.